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FOCUS

16 agosto – La Festa di San Rocco

Canaletto, Visita del Doge alla Scuola di San Rocco - 1735, London National Gallery.

Canaletto, Visita del Doge alla Scuola di San Rocco - 1735, London National Gallery.

Anche quest’anno- sia pure nel rispetto delle norme contingenti – la Scuola Grande intende celebrare degnamente la festa di San Rocco, da secoli espressione della pietà e del senso civico dei Veneziani, non volendo rinunciare a onorare il proprio patrono, e desiderando al tempo stesso rendere più sentita la partecipazione di tutti, come auspicio e stimolo alla rinascita della città.
A questo scopo ha pensato di proporre nei prossimi giorni un excursus nelle tradizioni che anticamente caratterizzavano la festa, molte delle quali sono vive ancor oggi.
Se, ormai da secoli, la visita del doge – privilegio straordinario concesso dalla massima autorità della Repubblica per venerare degnamente le reliquie del santo contra pestem – è solo un ricordo, anche ai giorni nostri, in occasione del 16 agosto, la Scuola realizza particolari allestimenti all’esterno e all’interno dei propri edifici: viene eretto il tendon del dose, la sala dell’Albergo viene addobbata con gli apparati settecenteschi, si respira un’atmosfera diversa e ferve un’attività più intensa dal consueto, che culmina con la Messa Pontificale in onore di San Rocco.
Quest’anno, eccezionalmente, la celebrazione, presieduta da Sua Eccellenza Francesco Moraglia, Patriarca di Venezia, si terrà alle ore 10.30 nella Sala Capitolare della Scuola (con ingressi contingentati fino a 200 persone).
Anche quest’anno la Scuola Grande intende celebrare degnamente la festa di San Rocco, da secoli espressione della pietà e del senso civico dei Veneziani, non volendo rinunciare a onorare il proprio patrono, e desiderando al tempo stesso rendere più sentita la partecipazione di tutti.
Se, ormai da secoli, la visita del doge – privilegio straordinario concesso dalla massima autorità della Repubblica per venerare degnamente le reliquie del santo contra pestem – è solo un ricordo, anche ai giorni nostri, in occasione del 16 agosto, la Scuola realizza particolari allestimenti all’esterno e all’interno dei propri edifici: viene eretto il tendon del dose, la Sala dell’Albergo viene addobbata con gli apparati settecenteschi, si respira un’atmosfera diversa e ferve un’attività più intensa dal consueto, che culmina con la Messa Pontificale in onore di San Rocco.
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Sin dal Cinquecento, la Scuola riserva attenzione particolare alla celebrazione della festa patronale, giorno in cui, all’epoca della Repubblica si compiva anche l’andata, cioè la visita, del doge alla chiesa e alla Scuola, visita della quale si ha notizia sin dal 1523. In origine occasionale, l’andata divenne apparentemente una ricorrenza fissa dopo la peste del 1576, quando san Rocco fu dichiarato compatrono di Venezia, e nel 1577 il doge Sebastiano Venier, dopo aver visitato la chiesa del Redentore per sciogliere il voto per la liberazione dal morbo, si recò anche alla chiesa dedicata al santo.
Il celebre dipinto di Canaletto (1735 c.), oggi alla National Gallery di Londra, raffigura un momento delle complesse celebrazioni, quando il doge, dopo aver assistito alla Messa, accompagnato dalla Signoria e dagli ambasciatori, esce dalla chiesa di San Rocco, sostando davanti alla Scuola addobbata per l’occasione.
Tra gli apparati allestiti all’interno e all’esterno dei propri edifici per celebrare degnamente la festa, la Scuola usava porre al centro della Sala superiore uno honoreuole candelabro, che veniva chiesto in prestito “hora a una chiesa et hora ad un’altra“, fino a quando nel 1545 non si deliberò di acquistarne uno proprio.
Con il passare del tempo l’attenzione verso questi apparati suntuari crebbe.
Nel 1607 si sottolineava la necessità di acquistare dei “cusini sopra ele quali si possi inginocchiare il serenissimo principe che per sua deuocione in tal giorno viene a visitare detto glorioso santo et anco nell’albergo nostro per tuor la perdonanza auanti tante reliquie santissime che si poneno sopra il banco grande”. Anche i cuscini, infatti, fino a quel momento, erano richiesti in prestito.
Nel 1671, poi, constatata la “noia per la percotione del sole, che non è poca in quel sito”, si deliberava per la prima volta l’erezione di un portone in Castelforte, dove talora sbarcava il doge, da realizzarsi  “con panni sostenutti in quella forma che il bisogno ricercherà”. Era una prima struttura, destinata a divenire col tempo il celebre tendon del dose.
Infine, verso la metà del Settecento, si provvedeva a dotare la Sala dell’Albergo di una serie di apparati lignei riccamente intagliati, policromi e dorati, destinati a esaltare la solennità del giorno in considerazione del “grande concorso di popolo” che si registrava in quell’occasione, come del resto accade anche oggi quando Veneziani e non si recano nella sala per ammirarla nella sua veste “da festa”.
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FOCUS Il grande tappeto Mamelucco

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La Scuola possedeva un tempo un’enorme quantità di arredi sontuosi, specchio e dimostrazione della posizione di prestigio ricoperta in Venezia, ma solo una minima parte dei tessuti preziosi, dei baldacchini e dei paramenti d’oro, di seta e di velluto, dei tappeti di cui era ricca è giunta sino ai giorni nostri.
Tra questi un imponente tappeto mamelucco cinquecentesco dalla classica composizione a medaglioni solitamente definita “caleidoscopica”, ottenuta con l’impiego di soli tre colori (rosso cremisi, blu indaco e verde smeraldo). Si tratta di uno dei pochissimi che si conservino al mondo (meno di una decina) e dei più grandi (cm 373 x 971) che si conoscano di tale tipologia.
Le vicende relative alla sua acquisizione sono ben documentate.
Una parte del marzo 1568 dà notizia dell’avvenuto acquisto, “di denari di ielemoxine di fradeli”, del “tapedo grando caierin… per el tribunal di albergo”, vietandone il prestito “sotto pena a quelli che ha prestado di pagar de suo a la schuola nostra ducati zinquanta .50. da eser mesi in benefizio de la schuola”. Si tratta senz’altro del grande mamelucco (“caierin” infatti non significa altro che “proveniente dalle manifatture del Cairo”).
Il tappeto, dunque, era destinato sin dall’origine a ricoprire il bancone della Sala dell’Albergo, la cui decorazione pittorica era stata compiuta dal Tintoretto tra il 1564 e il 1567 e per la quale sappiamo esser stati commissionati nel giugno 1567 i dossali e i banchi alle pareti e il pavimento. È dunque ragionevole ipotizzare che in tale lasso di tempo (ragionevolmente nei primi mesi del 1568) sia stato acquistato anche il tappeto, che da un inventario del 1655 figura ancora impiegato per il medesimo uso.
Negli ultimi anni è stato esposto, nel periodo della Festa di San Rocco, nella Sala Capitolare, disteso, in modo da consentire la piena visione della sua complessa e raffinatissima decorazione giocata su tre cosmogrammi ottagonali, separati da sottili cornici perpendicolari ai lati lunghi, assai simile, come anche la bordura, a quella dell’esemplare conservato presso il Metropolitan Museum of New York. Quest’anno sarà però esposto nella mostra temporanea The Majlis, presso l’Abbazia di San Giorgio Maggiore.

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Gli apparati suntuari interni: l’espositorio e gli addobbi dei dossali

Secondo una consuetudine che si perpetua tuttora, in occasione della festa patronale venivano esposte in sala dell’Albergo le numerose reliquie, vanto e ricchezza della Scuola, custodite durante l’anno nel suo Santuario (oggi Sala del Tesoro). I preziosi reliquiari venivano collocati sopra il bancone della sala su di un sontuoso espositorio in legno laccato di rosso e dorato, progettato ad hoc, in una manifestazione di fede ed opulenza insieme.
L’espositorio è una struttura a scalini con mensole dorate, decorate con foglie, volute e testine angeliche, definita nei documenti “una scallinada, che serue per esponere sacre reliquie, vasi, et altro, di pezzi cinque di adornato, con scalini adornati di mezzarie, plache, con serraglie sulla battuda, o’ sia cornici”.
Realizzato contemporaneamente alle poltrone cerimoniali, ai loro baldacchini, alle nuove tende di seta cremisi per la sala, era senz’altro compiuto il 16 agosto 1743.
Entro il 1763 la struttura dell’espositorio venne poi ampliata, aggiungendovi superiormente un tronetto espositivo sormontato da un cupolino (dove oggi il giorno di san Rocco viene collocato il grande reliquiario della Croce), affiancato da due angioletti reggicortina. L’insieme era completato da due “stanti d’intaglio dorati seruono per sostener due vasi laterali al banco grande in Albergo il giorno di san Rocco e da cinquantaquattro “pezzi d’adornato d’intaglio dorati seruono per l’adobbo de l’Albergo il giorno di san Rocco.”.
Sul frontale del bancone veniva montato poi un ricchissimo paliotto, unico nel suo genere a Venezia, formato da quindici pannelli ricamati con volute e motivi a fiori policromi realizzati con perline e cannette di vetro di Murano di varia dimensione e registrato per la prima volta nel 1763.
L’espositorio e i “pezzi d’adornato” per i dossali dell’Albergo, recentemente restaurati, vengono esposti ancor oggi, anche se non sempre vi vengono collocati tutti i preziosi reliquiari della Scuola, che si possono invece ammirare tutto l’anno nella Sala del Tesoro.

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Espositorio

Gli apparati suntuari interni: baldacchini e poltrone cerimoniali

Nel 1743 la Scuola deliberava di dotarsi di una serie di apparati concepiti appositamente per celebrare degnamente la festa patronale e la venuta del doge (che, secondo una tradizione durata per più di tre secoli, da Giovanni Mocenigo (1478) a Lodovico Manin (1789), all’atto della sua elezione diventava confratello di San Rocco).
Le premesse dell’operazione sono espresse in una parte del 14 luglio, in cui si afferma: “Gode questa nostra Scola erretta sotto la prottezione del glorioso san Rocco il distinto onore d’esser uisitata ogn’anno nel giorno della festiuità di detto santo dal Principe Serenissimo, e dalla Serenissima Signoria, oue altresì concorre quantità imensa di popolo, e massime de forastieri portadi non meno dalla deuozione, che dalla curiosità d’amirare nella Scola stessa l’opera delle più cospicue che adornino questa Serenissima dominante”. E si prosegue: “Giusto quindi essendo di accogliere la maestà pubblica con tutta quella decenza e decoro, che ben si deue, si troua questa Scola in mancanza di baldachini, capo certamente di suppelletile il più neccessario all’effetto […]”. In precedenza la Scuola li ha avuti in prestito per la solennità da case patrizie che li possedevano, ma l’anno precededente ha dovuto “prouederli in Ghetto a nolo senza che si siano potuti ritrouare corrispondenti a quella decenza, che esigeua la qualità del Principe Serenissimo, che li onoraua, et alla solenità del giorno doue sempre concorre una tanto quantità di popolo.”. Si delibera dunque “di prouedere perché una uolta per sempre uenga assicurata questa nostra Scola di auere a proprio uso tal capo di suppelletile come neccessarijssimo così corrispondente alla decenza e al decoro”. Sui baldacchini  dovrà “esser posto il segnal di san Rocco […] con preciso debito alli Guardiani Grandi, che pro’ tempore saranno di non poter mai in pena di ducati 200 imprestare a chi si sia per qualunque imaginabile causa li detti baldachini […]”.
Contemporaneamente vengono eseguite anche le due grandiose poltrone gemelle da parata, destinate ad essere usate dal doge, una in chiesa e l’altra in Sala del’Albergo, secondo quanto registra nelle sue memorie Vincenzo Melli, che scrive: “1743 16 aprile [ma più credibilmente agosto]: in questo anno per la prima volta si esposero due Troni, uno in Chiesa, l’altro in Scola, per Sua Serenità di velluto cremese con passamani d’oro”.
In legno intagliato, scolpito e dorato, con ricchissimi motivi vegetali, le due poltrone (oggi esposte in Sala Capitolare) sono decorate con putti, che fungono da telamoni in luogo delle zampe, decorano i braccioli e sostengono alla sommità del dorsale uno scudo con il monogramma della Scuola.

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L’esposizione dei quadri

Durante la festa, i pittori veneziani erano soliti realizzare una sorta di mostra d’arte all’aperto, che si ripeteva ogni anno, almeno dalla fine del Seicento. Nel 1678, infatti, la Scuola aveva concesso loro di esporre i propri dipinti su tutti i muri disponibili lungo il perimetro del campo o nella Sala Terrena.
Non si sa per quanto tempo i quadri rimanessero esposti, ma era un’occasione ambita da artisti esordienti o poco noti, dato che l’evento aveva notevole risonanza in città, come attesta Pietro Gradenigo nel 1760: “Per antica e lodevole usanza sogliono certi giovani pittori oggidì esporre al pubblico nella piazza di San Rocco le prime opere loro per attendere il giudizio di chi vi concorre o meglio profittare in avvenire con onorato concetto”.
La prima testimonianza iconografica che documenta l’evento è l’acquaforte di Luca Carlevarijs (1703), che rappresenta Campo San Rocco con un solo grande quadro di soggetto sacro esposto sulla facciata della Scuola, tra i due portali. Ma è il dipinto di Canaletto con La visita del doge a San Rocco (1735 c.) a offrirne l’immagine più famosa. Appese in modo apparentemente precario sull’ordine inferiore della facciata della Scuola, compaiono tele di varie dimensioni e di soggetti diversi: vedute, temi sacri oltre ad altri non identificabili.
L’esposizione continuava poi non solo sulle facciate delle case accanto alla Scuola, ma anche sul lato opposto del campo, sul muro che dà verso i Frari, come ben attestano sia la tela canalettiana, sia  l’acquaforte di Michele Marieschi (1741).
La mostra non si tiene più da molti secoli, ma in sua memoria la Scuola appende da alcuni anni, ben in vista sulla facciata, una riproduzione in scala 1:1 della tela canalettiana, realizzata per gentile concessione della National Gallery di Londra.

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Gabriel Bella, Visita del Doge alla chiesa di San Rocco (dettaglio) - 1779-92, Fondazione Querini-Stampalia

Gabriel Bella, Visita del Doge alla chiesa di San Rocco (dettaglio) - 1779-92, Fondazione Querini-Stampalia

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Il Tendon del dose

Lungo il percorso compiuto dal doge veniva allestita, sin dalla seconda metà del Seicento, una copertura temporanea a riparo dal sole cocente di agosto.
Tale apparato, vera e propria architettura effimera, aveva anche la funzione di integrare, sia pur provvisoriamente e con percorsi diversificati nel tempo, i vari edifici (chiesa, Scuola e Scoletta)  in un unico complesso.
Alcuni dipinti settecenteschi – da quello celeberrimo di Canaletto (Londra, National Gallery) al meno noto di Gabriel Bella (Venezia, Querini Stampalia) – mostrano come inizialmente la struttura fosse costituita da dei semplici pennoni verticali in legno su cui veniva steso un telo continuo, il tendon, appunto.
Nel tardo Settecento, la forma dell’apparato venne modificata, divenendo simile a quella attualmente in uso, che collega anche Scuola e Scoletta: i ritti sono a sezione quadrata, con plinto e capitello, mentre il cielo è rigido e rettilineo.
Caduta la Repubblica, il tendon cadde in disuso per essere poi ripristinato saltuariamente nel secolo scorso. Da alcuni decenni, pur con qualche interruzione, la Scuola ha ripreso l’antica usanza. Sebbene restaurato e parzialmente integrato nei secoli successivi, il tendon, quale oggi si monta in occasione della festa di San Rocco, è insieme alla cantoria lignea della chiesa,  una delle pochissime strutture effimere del XVIII secolo che si conservino a Venezia.

L’Andata del doge

Recavasi il Doge nelle sue barche dorate alla chiesa, vestito nella maggior gala, e con l’accompagnamento della Signoria, del Senato e degli ambasciatori. Le principali cariche della Confraternita […] erano destinate ad accoglierlo. Il Guardian Grande presentavagli un mazzetto di fiori, e collocavasi vicino ad esso: il Sotto-Guardiano ne presentava uno pure agli ambasciatori ed alla Signoria, mentre altri confratelli ne dispensavano a tutti gli altri del seguito.

                  (G. Renier Michiel, 1852)

Secondo quanto attestano le fonti, dal 1678 le celebrazioni si svolgevano secondo un rituale codificato: dopo la Messa e le cerimonie in chiesa, il cappellano della Scuola, seguito dal doge in corteo, con ambasciatori e senatori, si recava nella sala dell’Albergo, per venerare le reliquie lì esposte e prendere perdonanza.

Dell’andata dà più volte notizia (1758-1773) anche Pietro Gradenigo nei suoi Notatori, giudicando quella del 1765 “una delle più magnifiche che qui siano state introdotte e poi sempre annualmente continuate”, e nel 1767 Giovanni Verdura, maestro di coro e cerimonie della Cappella Ducale, stabilisce l’Ordo ad recipiendum Serenissimum Principem Venetiarum.

 

Vestito di seta e d’oro, accompagnato dalla Signoria, da rappresentanti del Senato e dal corpo diplomatico degli ambasciatori, il Doge giungeva con un fastoso corteo acqueo e sbarcava in un primo tempo al traghetto vecchio di San Tomà, in seguito in campo dei Frari, talvolta anche a Castelforte, accolto dal Guardian Grando e dalla Banca, l’organo di presidenza della Scuola. Assisteva poi alla Messa, celebrata in Chiesa, e passava successivamente nella Scuola a venerare le reliquie ed ammirare i dipinti e il tesoro, disposto nella Sala dell’Albergo ai piedi della Crocefissione del Tintoretto. Quella di S. Rocco era l’unica tra le Scuole Grandi ad avere il privilegio della visita dogale.
(M.F. Tiepolo).

Canaletto, Visita del Doge alla Scuola di San Rocco (dettaglio) - 1735, London National Gallery.

Canaletto, Visita del Doge alla Scuola di San Rocco (dettaglio) - 1735, London National Gallery.